Ormai da ben più di metà del tempo della mia esistenza vivo
al Nord, in una pianura padana che nella maggior parte delle giornate, complice
una sottile foschia fa credere che il mondo sia tutto così: senza un inizio, ne
una fine.
Trapiantato da una Catania operosa, ma stanca, da tutti
questi anni, ogni mattina , mi trovo a fare i conti con il mito della
velocità.Qui infatti tutto sembra andare veloce. Molto più veloce che in altri
posti. Le automobili, i treni, i passanti per strada.
A volte anche il tempo, qui sembra scorrere più velocemente
che altrove.
Si potrebbe pensare che tutta questa velocità e tutto questo
affannarsi per fare tutto in fretta serva a dare uno scopo alla nostra stessa
esistenza, a riempirla di risultati ed, invece, ci sono giornate in cui da
quando mi sveglio al mattino, arrivare alla sera è un attimo, mi chiedo che
cosa ho fatto nel mentre e mi rispondo: “Niente! Non ne ho avuto il tempo!”.
Forse più che di velocità, sarebbe corretto parlare di
competizione. Infatti, a ben vedere, scopro che tutta questa velocità altro non
è che finalizzata portare a termine qualcosa prima di qualcun altro.
Al semaforo, quando si accende il verde, cerchiamo di
scattare prima della macchina che abbiamo di fianco; agli incroci o alle
rotonde cerchiamo di arrivare prima di chi proviene da un’altra direzione per
poter passare davanti; al supermercato non cediamo il passo a nessuno, se
dobbiamo metterci in coda alla cassa; in ufficio ci affrettiamo a rispondere ad
una email prima che lo possa fare qualcun altro; ecc. ecc.. E tutto questo
accade senza che ce ne sia una vera ragione, però continuiamo a farlo.
La cosa che in assoluto ci da più fastidio è quando mentre
siamo impegnati in una attività, ci succede qualcosa, di imprevisto e non, che
possa rallentarne lo svolgimento
A volte presi da questa smania di correre, non ci
preoccupiamo neanche di valutare se per raggiungere la nostra metà esistano
delle strade più rapide. L’importante è muoversi, agitarsi e correre, correre,
correre a perdifiato senza mai voltare lo sguardo, se non per verificare a che
punto siano gli altri concorrenti.
Correndo dimentichiamo perfino di chiederci che cosa
desideriamo. In tal modo occupiamo la nostra mente ed evitiamo di renderci
conto di quanto miseri, piccoli ed insignificanti siamo, credendo che la nostra
folle corsa sia quello che possa dare un senso alla nostra vita meschina.
Tuttavia, anche se in un attimo di lucidità ci rendiamo conto
di tutto questo, non abbiamo il coraggio di premere il nostro piede sul pedale
del freno, per paura di rimanere indietro, di vedere gli altri allontanarsi su
una strada di cui non conosciamo il punto di arrivo.
Per paura di scoprire che il panorama è bellissimo.
Ed allora mi viene da fare una considerazione: qualsiasi
corsa che si rispetti prevede un premio. Per gli antichi era una corona di
alloro, poi piano piano i premi sono diventati sempre più venali fino a fare
dimenticare il significato più nobile della parola “sport”.
Mi chiedo quale sia il premio per le nostre corse quotidiane, e soprattutto:
siamo sicuri che sia quel premio, ciò di cui abbiamo bisogno ?
Dipinto di Vittorio Fontana (Corsa ad ostacoli)