C’era una volta il “bene durevole”.
È una locuzione, questa che sembra stia cadendo in disuso,
forse un po’ per pudore, perché in effetti i beni durevoli tendono a durare
sempre meno, rosicchiando sempre più la distanza dai “beni di consumo”.
Fatto sta che oggi le case automobilistiche piangono miseria
lamentando forti cali nelle vendite, dimenticando che le automobili si
connotano più come beni durevoli che non come beni di consumo come i loro
amministratori e presidenti probabilmente desidererebbero. I beni durevoli,
infatti raggiungono un punto di saturazione legato al loro proprio ciclo di
vita, e quindi ,non ci si può aspettare che ciascuno sostituisca il proprio
mezzo a quattro ruote ogni tre o quattro anni, specie con gli altissimi prezzi
attuali. Fra l’altro, gli stratagemmi studiati dalle industrie di autoveicoli
per aumentare le vendite possono indurre i clienti a cascarci all’inizio, ma
poi, un po’ per mancanza di disponibilità economica, un po’ perché “cca
nisciuno è fesso”, in pochi si lasciano abbindolare. Infatti, aumentare
progressivamente i veicoli di dotazioni elettroniche che a lungo andare si
dimostrano puri “giocattoli” non serve più e ormai quasi tutti hanno capito che
l’auto elettrica o ibrida non è una soluzione sostenibile né a livello
ambientale né a livello economico, e non è nemmeno pratica.
Ma l’industria delle automobili è stata da me presa solo
come esempio. In realtà tutti i cosiddetti beni durevoli prodotti
industrialmente subiscono prima o poi la stessa sorte. D’altra parte lo sviluppo
sempre più rapido della robotica e dell’intelligenza artificiale sta
permettendo la riduzione drastica della mano d’opera umana, non solo nelle
linee di produzione, ma anche negli uffici.
Ci saremmo aspettati che la riduzione di tale mano d’opera si
sarebbe rispecchiata in una corrispondente riduzione dei prezzi, ma di fatto,
così non è stato ed allora io mi chiedo: dove vanno a finire tutti questi
soldi?
Il sospetto è che vadano unicamente ad ingrossare i conti in
banca delle proprietà, mentre gli operai e gli impiegati delle industrie (e non
solo) vedono calare il potere d’acquisto dei loro salari.
Dov’è allora la soluzione? In linea teorica le innovazioni
tecnologiche sarebbero dovute servire a far lavorare l’uomo per meno tempo
mantenendo intatto il valore della retribuzione che dovrebbe essere commisurata
al controvalore della produzione e non alle ore lavorate, in questo modo però i
datori di lavoro non vedrebbero più aumentare a dismisura i loro profitti.
Qualcuno chiama questo stato di cose sistema
capitalistico-consumistico.