venerdì 6 dicembre 2024

La mia arte


Didascalie fallite ha la mia arte,

sogni senza cassetti dove riposare.

Come una zingara piano scopre le sue carte,

svelando un passato da non ricordare.

Nuovi passi si mescolano a gesti sempre uguali,

sfidano un’aria fragile di luoghi sconosciuti,

di eventi inaspettati, di incontri occasionali,

verso mete sgradevoli e cumuli di rifiuti.



Nella figura un'opera di Tim Noble & Sue Webster 

martedì 3 dicembre 2024

C’era una volta il “bene durevole”

 



C’era una volta il “bene durevole”.

È una locuzione, questa che sembra stia cadendo in disuso, forse un po’ per pudore, perché in effetti i beni durevoli tendono a durare sempre meno, rosicchiando sempre più la distanza dai “beni di consumo”.

Fatto sta che oggi le case automobilistiche piangono miseria lamentando forti cali nelle vendite, dimenticando che le automobili si connotano più come beni durevoli che non come beni di consumo come i loro amministratori e presidenti probabilmente desidererebbero. I beni durevoli, infatti raggiungono un punto di saturazione legato al loro proprio ciclo di vita, e quindi ,non ci si può aspettare che ciascuno sostituisca il proprio mezzo a quattro ruote ogni tre o quattro anni, specie con gli altissimi prezzi attuali. Fra l’altro, gli stratagemmi studiati dalle industrie di autoveicoli per aumentare le vendite possono indurre i clienti a cascarci all’inizio, ma poi, un po’ per mancanza di disponibilità economica, un po’ perché “cca nisciuno è fesso”, in pochi si lasciano abbindolare. Infatti, aumentare progressivamente i veicoli di dotazioni elettroniche che a lungo andare si dimostrano puri “giocattoli” non serve più e ormai quasi tutti hanno capito che l’auto elettrica o ibrida non è una soluzione sostenibile né a livello ambientale né a livello economico, e non è nemmeno pratica.

Ma l’industria delle automobili è stata da me presa solo come esempio. In realtà tutti i cosiddetti beni durevoli prodotti industrialmente subiscono prima o poi la stessa sorte. D’altra parte lo sviluppo sempre più rapido della robotica e dell’intelligenza artificiale sta permettendo la riduzione drastica della mano d’opera umana, non solo nelle linee di produzione, ma anche negli uffici.

Ci saremmo aspettati che la riduzione di tale mano d’opera si sarebbe rispecchiata in una corrispondente riduzione dei prezzi, ma di fatto, così non è stato ed allora io mi chiedo: dove vanno a finire tutti questi soldi?

Il sospetto è che vadano unicamente ad ingrossare i conti in banca delle proprietà, mentre gli operai e gli impiegati delle industrie (e non solo) vedono calare il potere d’acquisto dei loro salari.

Dov’è allora la soluzione? In linea teorica le innovazioni tecnologiche sarebbero dovute servire a far lavorare l’uomo per meno tempo mantenendo intatto il valore della retribuzione che dovrebbe essere commisurata al controvalore della produzione e non alle ore lavorate, in questo modo però i datori di lavoro non vedrebbero più aumentare a dismisura i loro profitti.

Qualcuno chiama questo stato di cose sistema capitalistico-consumistico.