venerdì 22 giugno 2012

Siamo tutti rane bollite



L'abitudine è una brutta cosa e conduce alla morte spirituale. nessuno di noi ne è immune.
Mi spiego meglio:
La parabola della rana bollita dice che se voi mettete una rana nell’acqua molto calda, la rana spiccherà un balzo rapidissimo per cercare di scappare via; e probabilmente ce la farà. Se invece la mettete in una pentola con acqua a temperatura ambiente, e poi appoggiate la pentola su una fonte di calore media e costante, che scaldi piano piano l’acqua, la rana non scapperà via. Anzi, mentre la temperatura salirà dai 20 ai 27 gradi centigradi, essa rana sguazzerà sempre più beatamente nella sua acqua sempre più piacevolmente tiepida. Poi lentamente la temperatura dell’acqua salirà ancora e la rana si intorpidirà, perderà forza e non sarà più in grado di saltare. E bollirà dolcemente senza nemmeno rendersene conto (forse): e sarà arrivata a essere la rana irrimediabilmente bollita che dà il titolo alla parabola stessa.

mercoledì 20 giugno 2012

L'importante è vincere



E’ una mattina piovosa dell’autunno del 1969 in una scuola media di un paesino del sud Italia. La palestra grigia e polverosa della scuola mette solo tristezza. L’insegnante di educazione fisica, piuttosto che costringere i suoi ragazzi ad eseguire degli esercizi assurdi affrontati senza entusiasmo e che probabilmente non porteranno nessun beneficio, ne al corpo ne allo spirito, decide di restare in classe per impartire una lezione di teoria.
Comincia a parlare di di un tizio di cui nessuno degli studenti ha mai sentito parlare prima.
Si chiama Pierre de Frèdy e pare che sia stato anche barone di Coubertin, tanto che tutti lo chiamano Pierre de Coubertin.
Racconta di un uomo che crede negli ideali, in particolare quelli sportivi, che lo porta ad idealizzare i giochi olimpici che si svolgevano nella antica Grecia e che portavano perfino alla sospensione delle guerre in corso durante il loro svolgimento.
Decide così di organizzare anche nell’era moderna dei giochi simili, animati da vero spirito sportivo sintetizzato dal motto da lui coniato “l’importante non è vincere ma partecipare” sapendo di aver dato tutto se stesso per giungere alla vittoria nel rispetto di principi di lealtà.
I partecipanti a tali giochi erano rigorosamente dilettanti, nessuno di loro lo faceva a scopo di lucro,e si sono verificati casi a quel tempo di atleti squalificati solo perché avevano ricevuto in regalo scarpe da ginnastica per la loro partecipazione.
Ma c’era di più: il barone considerava quella massima anche come un principio di vita a cui ispirarsi nelle attività quotidiane.
Io facevo parte di quella scolaresca, e gli atleti evocati sembravano agli occhi del bambino che ero dei super eroi, molto meglio di Batman o Superman (che ai tempi si chiamava Nembo Kid).
Forse anche l’insegnante credeva davvero a quello che diceva.
A distanza di più di quarant’anni il motto dei giochi olimpici non è cambiato, ma nutro seri dubbi che lo spirito sia rimasto lo stesso.
Le nazioni che si candidano ad ospitare i giochi lo fanno solo sperando in un eventuale ritorno di investimento.
Gli atleti, poi continuano a chiamarsi dilettanti, ma non si capisce perché. Di fatto fanno gli atleti a tempo pieno e tra contributi delle federazioni e sponsor percepiscono retribuzioni da fare impallidire dirigenti d’azienda con alle spalle anni di esperienza.
Riguardo alle guerre, purtroppo non si è piu perpetrata l’antica usanza di sospenderle durante le olimpiadi, anzi è proprio successo il contrario durante le guerre mondiali.
Potrei andare avanti a parlare di corruzione, scommesse, doping, ma sono stanco.
Solamente mi chiedo in che modo tutto questo si ripercuote sui ragazzini di oggi. Probabilmente i loro eroi sono quegli atleti che hanno trovato il modo di guadagnare di più e che meglio riescono ad ostentare le loro ricchezze materiali.